Da Cuba alla PVL, Alexeis Argilagos si racconta: “In nazionale giocavo per il popolo”
“Vogliamo la salvezza e noi della PVL non molleremo le armi fino all’ultimo; Cuba? Grazie al sistema cubano sono arrivato a questi livelli e quando vestivo la maglia della nazionale giocavo per il mio popolo”
Vederlo giocare è uno spettacolo per l’impegno, la voglia di vincere, l’essere un esempio per i più giovani e la grande passione che ci mette in ogni occasione. In Serie B, mentre lotta per la salvezza con la maglia della PVL, a 41 anni Alexeis Argilagos è sempre lo stesso, gioca con la stessa voglia che aveva quando scendeva in campo nelle categorie più alte oppure vestiva la maglia della sua Cuba alle Olimpiadi o nella World League. La sua passione per la pallavolo è tantissima, come esce anche in questa intervista che ci ha gentilmente concesso, nella quale ha parlato della PVL e la sua Cuba.
Ciao Alexeis, iniziamo parlando della PVL. Domani sera vi aspetta una partita decisiva contro Albisola.
«È una partita che dobbiamo provare a vincere a ogni costo, conquistare i tre punti. Per la prima volta nella sua storia questa società sta affrontando la Serie B ed è normale che si stia soffrendo un po’. Noi ci stiamo allenando molto bene e se riusciremo a riportare in campo quello che facciamo in allenamento e non avremo altri infortuni, potremo toglierci molte soddisfazioni. Domani dobbiamo vincere per dare respiro alla squadra e fare un passo avanti importanti verso la salvezza».
È un campionato molto complicato?
«Sicuramente è un campionato difficile, perché è molto equilibrato e se non giochi bene puoi perdere contro chiunque. Devo però ammettere che il livello della categoria si è abbassato, una volta in Italia si giocava molto meglio anche nelle categorie inferiori».
La classifica è molto complicata: credete nella salvezza?
«Certo, ci crediamo tantissimo e finché è nelle nostre mani ci crederemo sempre. Non molleremo le armi e per questo motivo stiamo lavorando tantissimo. La nostra squadra è formata da tanti giovani che non hanno mai giocato come titolari in questa categoria ed è normale che abbiano fatto un po’ di fatica. Inoltre abbiamo avuto anche tanti giocatori infortunati, ma ora stanno tornando tutti, quindi cercheremo di giocare nel miglior modo possibile, lotteremo fino alla fine».
Dopo aver giocato ad altissimo livello, cosa ti spinge a scendere in campo con tanta passione anche in Serie B.
«Non importa se la mia squadra gioca per la salvezza o la promozione, voglio giocare sempre al meglio, dare una mano alla squadra, fare punti. Mi piace essere un esempio per i più giovani, fargli capire che se io a 41 anni posso fare certe cose, allora loro possono e devono fare altrettanto alla loro età. Ho giocato per vincere tornei e ora lo faccio per la salvezza, che per me oggi è la cosa più importante, perché per la nostra società equivarrebbe alla vittoria dello scudetto, perché per la prima volta la PVL è in B e i dirigenti stanno facendo tanto per tenere la categoria. Io sono qui da tre anni, sono legato a questa società e voglio contribuire a tenere in piedi il suo progetto».
A 41 anni hai pensato a cosa farai in futuro, una volta che avrai smesso di giocare?
«Sono fortunato, perché ancora oggi sono in ottime condizioni grazie agli ottimi allenamenti fatti da giovane a Cuba. Fino a quando fisicamente riuscirò a essere competitivo e mi divertirò, sicuramente andrò avanti. Sempre se i ragazzi più giovani mi faranno giocare. Amo la sfida individuale nei confronti dell’avversario, l’aggressività che arriva dal confronto, cosa che molti giovani oggi non hanno. Nel frattempo sto già allenando l’Under 16 e vista la mia laurea sono anche preparatore atletico delle squadre di B e C. Il mio progetto è quello di dare una mano, trasferendo alla società le cose che ho imparato in questi anni».
Puoi raccontarci i tuoi inizi a Cuba?
«Vengo da un paese povero, che consente però ai ragazzi di studiare gratuitamente dandogli la possibilità di diventare ciò che vogliono. Lo stesso accade nello sport, perché esistono dei collegi sportivi provinciali e nazionali. Quando ero piccolo il selezionatore di un collegio mi vide giocare a scuola e mi fece fare un provino. Per la prima volta mi sono allontanato da casa e questo sport mi ha subito catturato. Il collegio è una grande occasione per noi cubani perché un ragazzo può allenarsi e studiare tutti i giorni. Si faceva tanta fatica con ben tre allenamenti al giorno, ma i risultati si sono visti e tanti cubani oggi devono ringraziare questo sistema. A 18 anni sono arrivato subito in nazionale, un’emozione enorme perché mi trovavo al fianco di un campione come Joel Charles Despaigne, “El Diablo”, e altri fenomeni che avevano vinto il Mondiale. Sono stato fortunato nel nascere in un paese come Cuba, che mi ha dato la possibilità attraverso il collegio di studiare e allenarmi tutti giorni, arrivando ad alti livelli».
Cosa provavi nel vestire la maglia della nazionale?
«Per noi cresciuti nel sistema comunista era una questione di onore, eravamo cubani e sul campo di pallavolo rappresentavamo il nostro paese, perché il nostro sport era quello più seguito nella nostra terra. In nazionale giocavamo per il popolo e avere questa responsabilità era la cosa più bella che ti poteva succedere».
Torni mai a Cuba?
«Certo, molto spesso ci vado in vacanza, anche perché lì ho tutta la mia famiglia, tranne mio fratello che gioca in Italia ed è più giovane di me. Ogni due anni vado a trovare i miei parenti a Cuba, anche se non soffro la lontananza, perché sono abituato a girare il mondo e questa vita non mi pesa. Però che bello andare lì al caldo ogni tanto (ride ndr)».
Quanto sei legato all’Italia?
«Tantissimo. Vivo qui ormai da quasi vent’anni, ho conosciuto tantissime persone e giocato in un campionato straordinario perché anche l’A2 era di un livello altissimo. Qui in Italia sono nati anche i miei due figli e da quando ho avuto loro sono ancora più legato al vostro paese. Poi ora ormai mi sento piemontese».
Hai avuto anche una lunga esperienza in Qatar.
«Ricordo che dopo un mese volevo scappare, perché in quel periodo non c’era nulla, non sapevo proprio cosa fare. Lì incontrai diversi calciatori come Batistuta, Caniggia e Hierro. Loro mi dissero che era normale essere in difficoltà in quel momento, ma che il Qatar mi avrebbe presto conquistato e così è stato. Sono rimasto lì cinque anni, ho amato il loro modo di vivere, ho trovato tantissimi amici e conosciuto un paese bellissimo. Sono andato via soltanto per una questione sportiva, in quanto il livello del campionato era troppo basso e volevo tornare a giocare una pallavolo più seria».
Posso chiederti come hai vissuto dall’Italia la morte di Fidel Castro?
«Me l’hanno chiesto in tanti. Era una persona anziana, quindi sapevamo che sarebbe accaduto prima o poi. Da sportivo gli devo molto e come me tanti altri atleti che oggi giocano a volley in giro per l’Europa, perché il sistema cubano ci ha aiutato a diventare quello che siamo oggi. Abbiamo avuto la possibilità di studiare e giocare senza spendere nulla e questo ci ha aiutato ad avere ciò che abbiamo ora. Ma c’è l’altra faccia della medaglia, coloro che non hanno avuto le stesse cose e non hanno avuto la possibilità come me di andare all’estero, restando in un paese povero. È difficile da spiegare, soprattutto se si parla di politica ed economia, perché questo sistema ha tanti lati positivi e altrettanti negativi. Però per quanto mi riguarda, da pallavolista e laureato, devo ringraziare per quello che mi è stato insegnato».